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Il Lions Club Trasimeno e l’Accademia Masoliniana di Panicale, Sabato 1 Ottobre presso la Sala Consiliare di Panicale, hanno organizzato la conferenza tenuta da Giovanni Riganelli (storico e scrittore) e da Bruno Teatini (esperto in strategie militari) sul tema: “Boldrino da Panicale, il condottiero: il fragore delle armi tra Guelfi e Ghibellini”
Dopo le presentazioni Giovanni Riganelli ha introdotto la biografia di Boldrino da Panicale con ampi riferimenti al Convegno su “I capitani di ventura” recentemente tenutosi a Perugia. Ha illustrato i motivi storici che generarono il sorgere delle compagnie di ventura nel 300’.
Ad un periodo storico in cui gli eserciti erano gestiti dai nobili, fece seguito un periodo che vide l’affermarsi della casta dei mercanti arricchiti e benestanti, che non avevano tempo da dedicare alla guerra e preferivano affidare le loro difese a soldati mercenari esperti. La richiesta generò la categoria; si parla di una cifra tra i 6000 e i 17000 fiorini spesi a Perugia nel 300’per assoldare i militari di ventura con punte fino a 35000 fiorini. In realtà l’affido non era privo di rischi in quanto gli eserciti acquisivano forza militare e spesso ricattavano anche gli affidatari imponendo balzelli per non devastare e depredare i territori stessi che avrebbero dovuto proteggere.
I capitani di ventura talvolta erano di famiglia nobile e si servivano delle risorse di famiglia per costituire gli eserciti, talvolta erano popolani dotati di un particolare carisma che aveva consentito loro di costituire intorno alla propria persona bande di accoliti. Si arricchivano del “soldo” corrisposto loro dai mercanti , ma soprattutto dei borseggi sulle popolazioni e sui contadini.
Tra i più noti, oltre Boldrino da Panicale, Braccio da Montone, Trinci da Foligno, Nicolò Piccinino ed Erasmo da Narni (detto il Gattamelata).
Giacomo Paneri, detto “Boldrino”, nasce a Panicale nel 1331 da Francesco Paneri e da Lucrezia Ceppotti. Il borgo panicalese è nel XIV secolo “terra di confine di guerre”; lo spietato Boldrino è quindi figlio del suo tempo, contrassegnato dagli incendi dei castelli e dalle devastazioni delle campagne, dalle urla dei guerrieri e dalla polvere delle battaglie. Si è detto che i Paneri fossero dei panettieri anche esaminando il blasone dei Paneri; tra gli altri simboli (la lettera “B”, il ferro di cavallo, il cimiero) si nota una tavola con tre pani.
Il soprannome Boldrino secondo alcuni deriva dalla parentela con la famiglia degli Ubaldini, secondo altri deriva della parola latina buldrinus che significa vello di pecora,
Sembrava fosse di corporatura gigantesca; secondo la testimonianza del Fabbretti (Biografie di capitani venturieri dell'Umbria, 1843), era di tempra robusta, forme atletiche, alto 6 piedi (addirittura cm. 218), sguardo severo, prontezza d'animo meravigliosa, temerario coraggio e avidità di gloria.
Il suo impeto giovanile e la sua straordinaria forza fisica non lo convinsero dell'opportunità di darsi alle arti guerriere. Fu in Perugia dal 1348 al 1351, dove si dedicò alla scuola d'armi primeggiando per impegno, vigore e destrezza. Perugia “guelfa, guerriera e opportunista” mirava alla conquista della sponda toscana del Trasimeno. Dopo l’assassinio del padre rientrò a Panicale, raggiunse la casa dei due odiati assassini del padre e li uccise senza pietà. Per due anni poi rimase presso la nobile famiglia Tarlati di Arezzo e strinse fraterna amicizia con il forte Bartolomeo da Pietramala e con Uguccione Casali da Cortona. Per tradimento fu ricercato dai perugini e sulla sua testa cominciò a pendere una forte taglia.

Intorno al 1361 il Paneri riuscì a prendere contatto con Giovanni Acuto, reduce vittorioso della battaglia di Poitiers nella guerra dei Cento Anni, al servizio dei ghibellini pisani contro i guelfi fiorenti. In questa compagnia, molto eterogenea – inglesi, bretoni, svizzeri, tedeschi e italiani – e molto temuta, Boldrino militerà a lungo sino al 1375, divenendone Primo Capitano nel 1364. Durante questa milizia il Paneri si impadronì di ogni astuzia militare spregiudicatezza tattica. A partire dal 1376 il Paneri abbandonò l'Acuto per formare una propria compagnia.
Cinquanta lance formavano una compagnia comandata da un capitano (tra i capitani più noti, Biordo Michelotti e Taddeo Pepoli di Bologna); ogni compagnia aveva il suo alfiere (tra cui il più illustre Muzio Attendolo). I vessilli issati potevano essere di tre tipi: uno a strisce trasversali biancorosse con ferro di cavallo, uno a scacchi biancoazzurri, con il castello di Panicale, uno completamente rosso con al centro il Grifo d'oro rampante. L'esercito era costituito da uomini a cavallo, armati pesantemente, che si schieravano e combattevano secondo le regole apprese dal Da Barbiano e da 400 arcieri, molto giovani e veloci, addestrati alla tattica inglese dell'Acuto. Tra le imprese del Paneri, un certo significato ebbe la cacciata dell'abate Gerard Dupuys da Perugia,. Nel 1372, ormai al termine della “cattività avignonese” della Chiesa, il papa Gregorio XI nominò suo vicario apostolico di Perugia, l'abate Dupuys de Montemajeur, fortemente inviso ai perugini. Molti cittadini caddero vittime della ferocia dell'abate e furono appesi per il collo o per i piedi fuori delle mura merlate di Palazzo dei Priori. La sbirraglia dell'Acuto faceva buona guardia su tiranno; mentre coprifuoco, corvée, balzelli, stupri e violenze caratterizzavano la vita di quel tempo. I più fortunati andarono ad arricchire le fila dei fuoriusciti, finché non si andò organizzando la resistenza affidata ai Michelotti, agli Oddi e al Boldrino. Approfittando della spedizione dell'Acuto contro Città di Castello, il Paneri fece penetrare i fuoriusciti in città e ottenne il sopravvento sull'esigua guarnigione rimasta; tutto il popolo perugino si sollevò contro il despota. L'Acuto, pur essendo tornato rapidamente a Perugia, non poté far altro che mettere in salvo il prelato e fuggire tra gli sberleffi e gli insulti dei perugini.
Nel 1386 Perugia stava di nuovo correndo un gravissimo pericolo ad opera delle truppe bretoni e guascone, responsabili delle stragi di Faenza e di Cesena, riorganizzate sotto la guida del feroce “Beltotto” (Berthold). Il Paneri, che in quel frangente si trovava accampato nei pressi di Recanati, venne raggiunto dal conte Giovanni Scotti, gentiluomo perugino e ambasciatore del cardinale Andrea Bontempi, che lo invitava a correre in difesa della città.
Perugia era senza difesa, piena di gente fuggita dalle campagne, con penuria di cibo e d'acqua. Dopo appena quattro giorni, l'armata di Boldrino riuscì a schierarsi sulle colline di Corciano; come catapulta la cavalleria pesante si scagliò contro l'orda dei Bretoni, mentre gli arcieri sommersero di micidiali saette uomini e cavalli nemici. In meno di un'ora i mercenari stranieri furono messi in fuga, lasciando sul terreno di San Mariano tantissimi morti e numerosi prigionieri. In seguito il condottiero panicalese riprese l'iniziativa nella Marca, al servizio del nuovo papa Bonifacio IX, conquistando nuovi castelli. Ridotto all'impotenza il valoroso capitano Bartolomeo Smeducci, il Boldrino, anziché consegnare al papa le terre dello Stato Pontificio riconquistate cercò di tenerle per sé e per suo figlio. Per vendetta lo smaliziato Andrea Tomacelli, fratello di Bonifacio IX, lo attirò in un'imboscata.
Convocato dal diabolico duca al Castello della Rancia il 10 o 11 marzo 1391, mentre gli veniva offerta l'acqua del benvenuto, inconsapevole ed inerme, fu ripetutamente colpito alle spalle da diverse pugnalate. Il “prode” Tomacelli volle anche vendicarsi, tagliandogli la testa. Il vile agguato tuttavia spinse i soldati dello sfortunato capitano a fare scempio dei maceratesi; il massacro terminò soltanto quando venne riconsegnata la salma decapitata del Boldrino.
Dopo un periodo di assoluto dominio della cavalleria che aveva l’assoluto dominio della guerra e dei campi di battaglia, vista l’introduzione della staffa che dava stabilità al cavaliere, delle armature sempre più sofisticate che rendevano problematica l’offesa e e di cavalli molto pesanti e robusti, la scoperta della balestra ridonò vigore alle fanterie.

La nuova arma aveva una potenza molto superiore a quella dell’arco e quindi era in grado di ostacolare pesantemente la cavalleria. Fu molto diffusa in Umbria ove si crearono vere e proprie scuole di balestra.

Non si usava più la mutualità, cioè lo sconto frontale ed aperto, per favorire strategie che prevedevano la sorpresa e l’accerchiamento (vedi battaglia di Sterling tra scozzesi ed inglesi che vide il prevalere di Wallace).

In tale ottica si misero le truppe di ventura che stipulavano veri e propri contratti sanciti da notai; i contratti venivano rispettati finchè non si trovava qualcuno che pagava di più.

Furono inventate le “lance”, cioè basi combattimento formate da 3 o 5 persone (ad esempio cavaliere leggero, cavaliere pesante, fante).

Teatini ha poi descritto la battaglia della Valle dei Morti, risolta a favore degli italiani che difendevano il papa contro i francesi che difendevano l’antipapa, grazie al genio strategico di Boldrino che ribaltò le sorti della battaglia facendo intervenire a sorpresa truppe lasciate opportunamente di riserva.
Bruno Teatini ha poi illustrato le strategie militari del tempo
Attività 2011/12