Lions Club Trasimeno we serve |
26 Settembre 2009: Ristorante Masolino a Panicale
Sesto incontro del Decasperone
in collaborazione con l’accademia Masoliniana
Storia degli alimenti
Piacevole conversazione del dott. Scarpellone che ha presentato agli intervenuti, in brillante forma storia aneddotica, la storia di alcuni dei principali alimenti ancora in uso tra cui:
Il pane
Preparazioni a base di sfarinati cotti sono state utilizzate come cibo fin dalla preistoria.
Il primo pane era probabilmente costituito da ghiande frantumate e mescolate ad acqua, sottoposte poi a riscaldamento, naturale o artificiale, per creare una sorta di focaccia.
Frammenti di pane non lievitato sono stati rinvenuti negli scavi che hanno riportato alla luce alcuni tra i più antichi insediamenti di palafitte d'Europa.
Gli antichi egizi utilizzavano forni per la cottura già prima del 2000 a.C. e si ritiene che abbiano scoperto il processo della fermentazione in modo casuale.
A Roma i primi forni pubblici furono istituiti durante il periodo repubblicano.
Il commercio dei prodotti da forno iniziò durante il Medioevo, quando si incominciarono a produrre molte varietà di pane.
La condizione sociale aveva ripercussioni sul tipo di pane consumato: i ceti più abbienti mangiavano pane bianco, mentre la maggior parte della popolazione poteva permettersi solo quello nero. Fino alla fine del XIX secolo era prodotto principalmente in casa o nei piccoli forni locali dei villaggi; successivamente la forza delle braccia è stata gradualmente sostituita da macchinari sempre più sofisticati.
Ai nostri giorni i panificatori utilizzano impastatrici, nastri trasportatori, forni elettrici e macchinari per raffreddare, affettare e confezionare il pane.
Ai consumatori viene oggi anche proposto un pane semilavorato e surgelato per l'uso domestico, così da poterlo avere sempre pronto da sfornare.
Data la crescente attenzione riservata a un'alimentazione corretta, si assiste oggi a una rivalutazione e a un consumo sempre più diffuso del pane integrale, più ricco di fibre e di principi nutritivi.
Il latte e il formaggio
La storia del latte e dei latticini è legata alla storia dell'uomo da tempi remotissimi, sicuramente da quando l'uomo ha iniziato a addomesticare gli animali ed in seguito ad allevarli.
Già 8000 anni fa in Mesopotamia si tentava di addomesticare animali da latte e probabilmente già da allora il latte era utilizzato come alimentazione. Recentemente un gruppo di archeologi ha rinvenuto a Troina, in Sicilia, una delle più antiche "aziende agricole" mediterranee, risalente al periodo dell'Età del Rame (circa 6000 anni fa).
A Piadena (Cremona) è stato ritrovato un colino di terracotta, risalente a 3500 anni fa, che molto probabilmente serviva per lo sgrondo della cagliata. Non è ancora chiaro come l'uomo sia riuscito a scoprire la cagliata e, di conseguenza, a produrre formaggio.
Sono nate diverse leggende; la più nota è quella di un mercante arabo che, dovendo attraversare il deserto, portò con sé alcuni alimenti. Mise del latte in una sacca fatta con lo stomaco essiccato di una pecora.
Il movimento del viaggio, il caldo e gli enzimi rimasti sulla parete dello stomaco della pecora avrebbero acidificato il latte e coagulato le proteine presenti al suo interno in piccoli grumi.
Sarebbe nata così la cagliata. Anche la mitologia greca si è occupata della scoperta del formaggio, attribuendola alle Ninfe, le quali avrebbero insegnato ad Aristeo, figlio di Apollo, l'arte di cagliare e trasformare il latte.
E' comunque verosimile che la scoperta del formaggio sia stata effettivamente casuale e legata al tentativo di trasportare e conservare più a lungo il latte.
Il latte consumato dai nostri antenati era prevalentemente di capra, di pecora, di asina. I Romani ebbero un ruolo importante nella storia del latte introducendo il latte bovino, perfezionando anche le tecniche di lavorazione dei suoi derivati e diffondendole, tramite l' Impero, nel nord Italia, in Gallia, in Germania e in Inghilterra.
La carne
C'era un tempo in cui la carne veniva considerata l'alimento energetico per eccellenza, adatta a nutrire guerrieri, i potenti che dalle armi e dalla forza fisica traevano legittimazione sociale.
La carne era considerata il cibo ideale per tutti e, a maggior ragione, per coloro che erano chiamati a governare e ad essere forti. Il consumo della carne e l'uso delle armi erano strettamente connessi e posti sullo stesso piano.
Una volta anche i poveri mangiavano la carne data l'abbondanza dei pascoli e selvaggina presente ovunque: ma quando iniziarono a sorgere nei vari principati e contee riserve e divieti di caccia e quindi quei territori furono riservati alle classi nobili, allora al popolo non rimase altro che sognarla e farla diventare ancora di più un "culto".
Nella quotidiana lotta contro la fame la carne rimase un miraggio al quale aspirare. Quello era il tempo in cui si diceva che i legumi erano "la carne dei poveri" con chiaro riferimento al contenuto energetico della carne.
La cultura monastica esaltava ancora di più il valore della carne, che assumeva per la gente comune il significato di piatto "principe".
L'astenersi dal mangiarla aveva il significato di una "penitenza" e la cosa da cui ci si asteneva diveniva fonte di desiderio…"Il piacere della carne" era un concetto ben presente nella cultura e comprendeva tutto ciò che l'uomo poteva desiderare: la carne era fonte di vigore legata alla forza fisica e alla sensualità.
"Mangiar magro" "Mangiar grasso" erano momenti temporali in cui si dividevano i periodi dell'anno, erano una classificazione sociale e un modo di concepire l'alimentazione.
Sognata come simbolo di benessere e riscatto sociale, poi snobbata per le sue virtù proteiche, messa in discussione dai vegetariani, animalisti e dietologi o dietonomi…, oggi recupera in cucina tutta la sua grandezza: quando si parla di convivialità della tavola, del "piacere", la carne affiancata ad un buon bicchiere di vino, è sempre presente.
Il caffè
Fino al XIX secolo non era certo quale fosse il luogo di origine della pianta del caffè e, oltre all'Etiopia, si ipotizzava la Persia e lo Yemen.
Pellegrino Artusi, nel suo celebre manuale, sostiene che il miglior caffè sia quello di Mocha (città nello Yemen), e che questo sarebbe l'indizio per individuarne il luogo d'origine.
Esistono molte leggende sull'origine del caffè: la più conosciuta dice che un pastore chiamato Kaldi portava a pascolare le capre in Etiopia. Un giorno queste incontrando una pianta di caffè cominciarono a mangiare le bacche e a masticare le foglie.
Arrivata la notte le capre anziché dormire si misero a vagabondare con energia e vivacità mai espressa fino ad allora. Vedendo questo il pastore ne individuò la ragione e abbrustolì i semi della pianta mangiati dal suo gregge, li macinò e, dopo averne fatta un'infusione, ottenne il caffè.
Le capacità eccitanti della bevanda furono presto sfruttate in ambito religioso per le veglie notturne e la bevanda fu grandemente apprezzata dai mistici sufi nello Yemen, già intorno al 1450.
Nel XVII secolo, a Londra ed a Parigi una libbra di caffè veniva pagata fino a 40 scudi.
L'uso si andò poi via via generalizzando per crescere fino all'immenso consumo che se ne fa tuttora.
Verso il 1650, cominciò ad essere importato e consumato in Inghilterra e si aprirono di conseguenza i primi caffè (intesi come circoli e bar e detti in inglese coffeehouse), come ad esempio quelli di Oxford e di Londra.
Nel 1663 in Inghilterra vi erano già 80 coffeehouse, cresciuti vertiginosamente fino a superare le 3000 unità nel 1715.
I caffè divennero presto luoghi di nascita e diffusione di idee liberali, e furono frequentati da letterati, politici e filosofi, diffondendone l'uso in tutta Europa.
Il cacao
È una leggenda azteca a voler svelare le origini di questa pianta: narra così che un giovane scudiero in partenza per la guerra, in difesa dei confini dell’impero, lasciò il suo tesoro alla sua sposa, una principessa, affinchè lo custodisse fino al suo rientro.
All’arrivo dei nemici, interessati al tesoro, la principessa innamorata, nonostante le minacce, non svelò il luogo in cui questo era nascosto e per vendetta fu uccisa.
Dal suo sangue nacque una pianta nel cui frutto erano nascosti dei semi amari come la sofferenza, forti come la sua virtù e rossi come il sangue: era la pianta del cacao.
I primi semi di cacao, gli stessi che poi acquisteranno importanza sociale, religiosa, economica e sicuramente gastronomica in entrambe le sponde dell’Atlantico, nei secoli, trovano origine in Messico.
È il 1500 a.C. e sono gli Olmechi a battezzare la bevanda che deriva dalla pianta kakawa.
Le prime notizie sul suo uso vanno però ritrovate negli scritti Maya: non solo si scopre che il cacao è sfruttato in quanto alimento energetico in grado di alleviare le fatiche ma è protagonista anche delle usanze funebri nonché, e soprattutto, moneta di scambio, come sarà poi anche per altri popoli. Dobbiamo agli aztechi, però, la sua entrata nella storia. Cristoforo Colombo nel 1502 si imbatte in un’imbarcazione che trasporta cacao ma non gli concede molta importanza e così spetta a Hernàn Cortès il merito di importarlo in Europa.
Le sue virtù, accompagnate al suo sapore particolare, portano alla sua veloce diffusione approdando nel 1606 anche in Italia, in cui emersero cioccolatai noti poi anche oltre patria.
La bevanda che deriva dal cacao è molto apprezzata ovunque (basti pensare che Linneo la classificò Theobroma, il latino "bevanda degli dei"), ma inizialmente il suo consumo è ancora destinato ad una piccola elitè: bisogna attendere la rivoluzione industriale per sentirla lodare dai più.
Lo zucchero
La prima forma di zucchero di cui si ha notizia è quello di canna da zucchero, che rimase per molti secoli l’unico tipo possibile.
Si ritiene che sia stato portato dagli abitanti delle isole polinesiane in Cina e in India.
Qui i persiani di Dario trovarono, nel 510 a.C., coltivazioni di un vegetale da cui si ricavava uno sciroppo denso e dolcissimo.
Fatto asciugare in larghe foglie produceva cristalli che duravano a lungo, dalle spiccate proprietà energetiche.
I persiani portarono le piante con loro e ne estesero la coltivazione al Medio Oriente.
Nel 325 a.C. Alessandro Magno portò la notizia che nei territori orientali si trovava un “miele che non aveva bisogno di api”.
Furono però gli arabi, presso cui era già in uso nel VI secolo a.C., che ne estesero la coltivazione nei loro territori.
Genovesi e Veneziani, nel X secolo, presero ad importare modeste quantità di ciò che veniva chiamato “sale arabo” che le crociate resero ancora più diffuso.
Con la scoperta dell’America gli spagnoli introdussero la coltivazione della canna da zucchero a Cuba e nel Messico, i portoghesi in Brasile, inglesi e francesi nelle Antille, in quei territori cioè dell’America centrale e meridionale che ancora oggi ne sono tra i maggiori produttori.
Poiché lo zucchero delle Americhe era migliore e meno costoso, le coltivazioni spagnole e italiane scomparirono, insieme ai traffici con i territori arabi.
Nacque un fiorente traffico di importazione che rese il prodotto, per quanto di lusso, più comune.
Dopo il Congresso di Vienna lo zucchero di canna tornò a circolare, ma l’espansione di quello da barbabietola fu irreversibile.
Il costo inferiore lo rese disponibile via via a più ampie fasce della popolazione, cambiando considerevolmente le abitudini alimentari dell’Europa.
Alcuni storici ritengono che la maggior disponibilità di zucchero abbia contribuito a migliorare sensibilmente le condizioni di salute della popolazione e le sue potenzialità di concentrazione, contribuendo allo sviluppo intellettuale della società.