Lions Club Trasimeno

we serve



19 Novembre
Sala Consiliare del
Comune di Panicale
Presentazione del libro “Lettere da Rodi”
di Fabio Capitanucci


Il presidente dell’ANEI Marco Terzetti, il presidente del Lions Club Trasimeno, lo storico Luciano Taborchi e l’assessore alla Cultura del Comune di Panicale Giselda Bruni hanno illustrato il libro “Lettere da Rodi” di Fabio Capitanucci, in assenza dell’autore, ammalato di COVID e presente solo in collegamento informatico attraverso il computer.
Il libro è stato scritto allo scopo di riportare la verità in merito alle vicende di un militare italiano, Renato Carrozza, già residente a Chiugiana e dislocato fin dal 1940 a Rodi in qualità di chimico esperto di apparecchi nebbiogeni: mai ritornò a casa nel corso degli ultimi 4 anni, ma continuò a scrivere lettere ai familiari.
Da tale lettere emerge in modo chiaro un terribile spaccato sulle vicende belliche di quegli anni.
Indirettamente il libro rappresenta un quadro storico, a molti poco noto, sui fatti accaduti in quel periodo nelle isole dell’Egeo e sulle persecuzioni subite dai militari italiani dopo l’armistizio italiano dell’8 Settembre 1943.
Dopo l’armistizio Renato Carrozza che si era rifiutato di collaborare coi Tedeschi e non voleva riferire sulle modalità di produzione e utilizzo delle armi chimiche che produceva.
Per questo motivo fu imprigionato prima a Lindo (Isola di Rodi), poi a Massari (Isola di Rodi), Scarpanto e nel campo Mastambà dell’Isola di Creta.
Il giorno 4 febbraio 1944, presso la Baia di Souda (Creta – Grecia - Mar Egeo), insieme Renato Carrozza furono imbarcati nel piroscafo “Petrella” oltre 3100 soldati italiani prigionieri dei Tedeschi.
Il “Petrella” era una nave inizialmente francese, acquistata dall’Italia e poi caduta in mani tedesche.
I prigionieri italiani erano colpevoli di aver tenuto fede al giuramento militare di fedeltà alla Patria ed al Re d’Italia e furono imbarcati in questa nave, che non era adibita al trasporto di esseri umani, in quanto era una carboniera.
I più “fortunati” furono imbarcati con un quarto di litro di acqua e ciò che restava della pagnotta loro assegnata giorni prima.
Furono ammassati nelle stive.
Il “Petrella” era diretto al Pireo e, da lì, la destinazione dei prigionieri italiani era la prigionia nei campi di concentramento in Polonia o Germania.
Per quattro giorni il “Petrella” non riuscì a partire, perché il Mar Egeo era letteralmente “infestato” di sottomarini inglesi.
I soldati italiani, in questi quattro giorni, erano talmente stipati che non riuscivano nemmeno a muoversi: rimasero senza acqua, senza cibo e molti di loro morirono per le esalazioni delle urine e delle feci.
Infine, arrivò l’8 febbraio.
Il “Petrella” salpò la mattina verso le ore 7:30 a.m./8:00 a.m. dalla Baia di Souda, ma dovette far ritorno infinite volte per evitare i sottomarini inglesi. Verso le ore 11:20 a.m. circa, riuscì a giungere ad un miglio circa al largo della Baia di Souda, ma emerse il sommergibile inglese “Sportsman”, che lanciò due siluri e colpì il “Petrella”, sebbene nei suoi fianchi fosse scritto ben in evidenza POW, ovvero “Prisoners Of War”.
Miracolosamente il “Petrella” non affondò; rimase a galla e tutti i soldati si sarebbero potuti salvare, ma, non appena i prigionieri italiani tentarono di uscire, presi dal panico, dalle stive, dove erano stati rinchiusi, i soldati tedeschi spezzarono loro le ossa coi i colpi dei calci di fucile.
La massa umana era enorme, quindi in tal modo non riuscirono a contenerli, per cui cominciarono a mitragliarli.
Ma nemmeno in tal modo la gigantesca quantità di soldati poteva essere frenata, quindi i tedeschi cominciarono a lanciare contro gli Italiani bombe a mano e la strage ed il massacro furono orribili.
Va sottolineato che ai prigionieri italiani (IMI, cioè internati militari italiani) non erano stati consegnati i giubbotti di salvataggio, perché, come internati, non erano considerati né trattati alla stessa stregua dei prigionieri di guerra. Gli IMI non avevano nemmeno il diritto di essere soccorsi dalla Croce Rossa, così come era sancito dal trattato di Ginevra del 1929.Gli IMI dovevano solo morire.
Il sommergibile “Sportsman” riemerse, lanciò altri siluri e stavolta colpì le caldaie del “Petrella”, che esplose, spezzandosi in due tronconi. Si inabissò nel giro di pochi istanti.
Le motovedette tedesche, che scortavano il “Petrella”, si allontanarono in tutta fretta per evitare il risucchio.
Dopo che il “Petrella” si era inabissato, tornarono indietro sia le motovedette che altre imbarcazioni tedesche e greche.
Quelle greche soccorsero i pochi Italiani, che erano rimasti in acqua, ma non fecero lo stesso i Tedeschi.
Questi ultimi, infatti, mitragliarono tutti gli Italiani rimasti a galla. In pochissimi si salvarono: di oltre 3100 prigionieri italiani solo circa 424 sopravvissero.
Renato Carrozza rimase a giacere in fondo al Mar Egeo insieme ad almeno altri 2669 giovani.
Invece un altro italiano, Primo Chappini, che fu tra i pochissimi a sopravvivere miracolosamente, si stabilì poi con la famiglia lungo le rive del Trasimeno e, in memoria del Golfo di MIrabelo di Creta, dove i prigionieri erano stati alloggiati, volle che alla frazione ove ora viveva fosse dato il nome di Mirabella.
Ora Chiappini è deceduto, ma figli e nipoti, presenti alla presentazione del libro, ne hanno rimembrato le narrazioni e i ricordi.
La tragedia del “Petrella” è la seconda più grande e grave di tutta la storia del Mar Mediterraneo.
Il 12 febbraio 1944, ovvero quattro giorni dopo, fu la volta del naufragio del piroscafo “Oria, che con i suoi 4050 morti rappresenta la tragedia più grande in assoluto di tutta la storia del Mar Mediterraneo.

Il libro, scritto dall’autore sulla base della corrispondenza intercorsa tra Carrozza e la famiglia, riporta tutta la storia del militare italiano, dai suoi studi a Bassano del Grappa, alla partenza per Rodi dal Porto di Barletta avvenuta nel Marzo 1940.
Dai riferimenti delle lettere spedite negli anni successivi emerge la speranza di una licenza (che non fu mai concessa), nuvole che incombono su una gioventù non più spensierata, riflessioni nel lungo inverno, comunicazioni con l’Italia sempre più difficili, entrata in zona operazioni di guerra, tentativi di rassicurare e far coraggio ai familiari, nostalgia per l’Italia con partecipazione a fidanzamenti e matrimoni dei familiari, tentativi di continuare a studiare nonostante la guerra.
Di Carrozza non si ebbero più notizie dopo il 23 Agosto del 1943. La famiglia ebbe notizie del suo decesso nell’affondamento del Petrella da un militare italiano di Vibo Valentia che lo conosceva bene ed era con lui in stretto contatto.
Il libro riporta anche fatti storici connessi all’occupazione italiana delle isole del Dodecanneso (Rodi, Stampalia, Scarpanto, Caso, Piscopi, Nisiro Calino, Lero, Patmo, Coo, Simi e Calci) dopo la guerra Italo-Turca nota con nome di guerra di Libia, conclusa col trattato di Losanna del 1912.